Mongolia del nord: incontro ravvicinato con gli “uomini-renna”

25-27 settembre 2016

Arriviamo a Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, dopo una nottata trascorsa a bordo della transmongolica proveniente da Ulan-Udė. Pur appoggiandoci ad un’agenzia, per risparmiare, evitiamo il viaggio su una costosissima jeep privata e il 27 settembre raggiungiamo la cittadina di Mörön con un autobus locale. Qui conosciamo Narengò, l’”uomo di fiducia”di Minjin, incaricato di accompagnarci nella taiga in visita ai suoi famigliari nomadi e allevatori di renne. Le strade che raggiungono il nord sono praticamente inesistenti o ampiamente dissestate e comunque mai asfaltate. Non vi è dunque un regolare traffico di mezzi su questo itinerario. Per tale ragione, prima di poter partire con il nostro pulmino, attendiamo a lungo che sia caricato non solo di merci, ma anche di persone, alla ricerca di un passaggio per questa zona del paese “poco battuta”. Alle ore 19.30, in 11, partiamo alla volta del distretto nei pressi del lago Tsagaanuur. L’autista si limita per lo più a seguire la via già “segnata” dal passaggio di altri mezzi, procedendo con estrema cautela a causa delle numerosissime buche e corsi d’acqua da attraversare. Ogni due ore inoltre, dobbiamo fermarci per consentire ad una giovanissima mamma di allattare il suo bambino di appena un giorno.

28 settembre 2016

Verso le 12.30 del mattino, dopo 15 ore di viaggio e il rilascio di un’autorizzazione speciale per il transito nelle zone a nord, in un territorio molto vicino al confine con la Russia, finalmente ci sistemiamo presso l’abitazione di Narengò e della sua famiglia ad Harmai.

Harmai non è segnata sulle mappe; in questo immenso pianoro situato a pochi km dal lago Tsagaanuur, alcune piccole casette di legno decorano un paesaggio ampiamente popolato da animali: mandrie di cavalli, greggi di capre e pecore e un elevatissimo numero di yak, le famose mucche “pelose”, tipiche della Mongolia. La temperatura è piacevole, all’ora del tramonto il sole si nasconde dietro le montagne, non prima di aver illuminato magicamente le conifere dai colori tipicamente autunnali. La casa di Narengò e della moglie Podre è molto piccola; un unico ambiente scaldato da una stufa a legna e arredato con tre minuscoli letti, un telefono satellitare, alcuni mobiletti, uno dei quali è utilizzato come “piano cucina”, e un’infinità di sacchetti e scatoloni contenenti per lo più cibo confezionato e vestiti. Il bagno è in natura. Il paragone con le nostre case sorge spontaneo; tutto ciò che si ritrova qui è lo stretto necessario alla sopravvivenza: non vi sono foto, quadri, soprammobili, non ci sono né radio, né televisione, nessun oggetto che possa in qualche modo evocare i ricordi della gioventù della coppia o della famiglia. Narengò e Podre hanno quattro figli; con noi però c’è solamente Touchè, un “grillo salterino” di appena 4 anni a cui non dispiace per nulla emulare il padre, soprattutto quando taglia la legna con l’accetta (!!); quella del bambino però è più piccola, perché “ovviamente” adeguata alla sua età (!). Le altre tre figlie di Narengò vivono nella cittadina sulle rive del lago per motivi di studio; la distanza non è eccessiva, ma il lavoro dei genitori renderebbe impossibile il trasporto quotidiano alla scuola. Mentre Narengò è impegnato sui monti con i turisti per i trekking nella taiga o più semplicemente per aiutare i suoi famigliari con le renne, la moglie Podre, ad Harmai, si dedica all’allevamento degli yak. Questa è la vita che conduce la maggior parte delle famiglie qui, fuori dai centri abitati più estesi; dunque i figli restano a casa fino al compimento dei 6 anni, età in cui poi entrano in collegio per rimanervi fino ai 18.

29 settembre 2016

La mattina, verso le 10.30 circa, accompagnati da Narengò, ci mettiamo in marcia in sella alle renne, addentrandoci nella taiga mongola per raggiungere l’accampamento dove attualmente risiedono la madre e i fratelli dell’uomo. Il programma prevede la suddivisione del viaggio in due giorni, con una sosta per la notte presso un insediamento minore, per rendere meno impegnativa la cavalcata…ma la mancanza di comunicazione a volte riserva sorprese inaspettate.

Nel tardo pomeriggio, dopo aver attraversato pianori paludosi, guadato fiumi e risalito sentieri piuttosto ripidi, nella speranza che le renne procedano senza cadute, l’accampamento è ancora un miraggio. La nostra preoccupazione cresce rapidamente, in quanto la stanchezza e il freddo iniziano a farsi sentire con prepotenza e il nostro uomo non è in grado di spiegarci il motivo del ritardo. Verso le 20.30, finalmente compaiono alcune luci che si spengono ed accendono ad intervalli regolari: qualcuno sta inviando dei segnali per indicarci la retta via!! Il buio avvolge tutto ciò che ci circonda; solo grazie alle luci frontali riusciamo a scorgere alcune renne a pochi metri da noi: siamo arrivati a destinazione. La mamma di Narengò ci guida in una grande tenda, dove ci viene offerta una zuppa e la possibilità di chiamare Minjin con un telefono satellitare. La donna, in inglese, spiega che la famiglia presso cui avremmo dovuto pernottare non era più accampata lungo il tragitto (talvolta accadono imprevisti del genere trattandosi di famiglie nomadi), pertanto per Narengò si è reso necessario condurci direttamente al grande accampamento. Chiarito ogni dubbio, due uomini ci accompagnano nella nostra tenda. Tempi duri per la nostra schiena…sotto i sacchi a pelo solo un paio di materassini…

30 settembre 2016

Il rumore della neve ghiacciata annuncia l’inizio dell’ultimo giorno di settembre. I fiocchi cadono all’interno della nostra sistemazione sulla piccola stufa centrale: trattandosi di una tenda simile al “tepee indiano”, presenta un’apertura abbastanza ampia in alto. Uscendo scopriamo il panorama circostante; un vasto pianoro innevato, circondato da cime imbiancate e, su un lato, da un fiume. Gli uomini, ovvero Narengò, i suoi tre fratelli e i due cognati, stanno facendo spostare gli animali sui versanti più alti, ricchi del muschio di cui le renne vanno ghiotte. Il loro ritorno è previsto per il tardo pomeriggio. Le donne sono la madre di Narengò e le 2 sorelle con 4 bambini, 2 femmine di 4 e 6 anni e 2 maschietti di 5 e 9 mesi.

Oltre alla nostra, vi sono altre tre tende; per i pasti il ritrovo è sempre nella stessa, quella della mamma di Narengò. Il contesto è molto spartano; a terra vi sono dei teli che coprono parzialmente il fondo erboso. Il piano dove si prepara il cibo, previa cottura, è costituito da semplici assi di legno poggiate su ceppi. I nomadi hanno a disposizione il telefono, ma anche la televisione. Lampadine collegate a semplici batterie dell’auto, poi ricaricate con pannelli solari, forniscono la luce necessaria ad illuminare l’interno di questo piccolo ambiente. L’alimentazione si basa principalmente su carne di renna, conservata esternamente sotto alcuni teli grazie alle basse temperature, pasta fatta in casa (tipo tagliatelle), riso, pane e formaggio; e poi thè, tantissimo thè con latte di renna, che per noi ha un gusto davvero forte. L’acqua si prende al fiume e poi si fa bollire. Il cellulare non funziona, non c’è Internet e nemmeno un bagno. Per ogni necessità, ciascuno può riscoprire il proprio angolino in natura. Denti e viso si possono lavare al fiume, per il resto ci affidiamo alle solite salviettine. Sarà interessante vedere in che condizioni (igieniche e mentali!) arriveremo alla fine. Inizia a nevicare e gli uomini rientrano con gli animali; alcune renne sono cariche di legna ed è il momento di preparare i ceppi per la notte. Gran parte del lavoro è fatto a mano, con l’accetta, e solamente per i pezzi davvero grandi si utilizza la motosega. I nomadi non usano guanti, tagliano veloci e precisi, con una sicurezza impressionante. Impieghiamo la nostra serata nella “tenda madre”, tra partite di scacchi e la curiosità dei ragazzi più giovani, desiderosi di scoprire i paesaggi e i volti di amici italiani dalle foto dei nostri telefoni. Nella notte, verso le 2.30, il freddo ci sveglia travolgendo il nostro viso, praticamente l’unica parte del corpo non coperta. Dovremo alzarci parecchie volte per fare in modo che il fuoco non si spenga.

01-02 ottobre 2016

La situazione metereologica sta decisamente peggiorando; il vento soffia con forza e piccoli fiocchi di neve pungenti cadono con insistenza. Stamattina avremmo dovuto avventurarci alla scoperta dei laghi qui intorno, ma gli uomini, da quanto abbiamo potuto capire, sono a caccia di lupi che minacciano le loro renne; in ogni caso, il tempo non consentirebbe alcuna uscita. Tutto ciò che possiamo fare è giocare un po’ con le bambine a “SARDINA”.

La giornata trascorre all’insegna delle semplici azioni : prendere l’acqua al fiume, farla bollire, filtrarla e poi aspettare che si raffreddi…decidiamo di concederci anche una specie di “doccia”, rigorosamente all’interno della tenda, utilizzando il catino (lo stesso che ci è stato dato per far bollire l’acqua da bere) e una saponetta alla lavanda. Un po’ alla volta ci si insapona e poi si risciacqua con un mestolino di plastica, facendo attenzione a far ricadere l’acqua nel recipiente, per non bagnare i tappeti che in parte ricoprono il terreno. È come tornare indietro nel tempo…

A cena il menù prevede riso con carne di renna, servito in un elegantissimo secchio di alluminio: non male! Assaggiamo anche i famosi quanto minuscoli pinoli, presi direttamente dalle pigne raccolte dalle donne, che qui come in tutto il resto della Mongolia sono una vera specialità (quando si dice mangiare a km 0). Ci viene offerto del tabacco, da fumare in piccoli pezzi di giornale, e del midollo di renna. Stefano lo assaggia con piacere e mi fa notare quanto sia sana questa carne. Gli animali vivono liberi e si cibano solo di vegetazione naturale, bevono acqua di sorgente e in tutta la loro vita non entrano in contatto con alcun tipo di farmaco o mangime chimico, cosa che invece succede di norma ai nostri polli, maiali e bovini.

La neve intanto continua a cadere.

 03 ottobre 2016

Alle 7 del mattino siamo già svegli per assistere alla mungitura delle renne; non possiamo partecipare in prima persona perché gli animali sono piuttosto inquieti e scalciano.

Nel primo pomeriggio, un debole sole compare tra le nuvole e così, insieme a Narengò, decidiamo di partire per effettuare una breve cavalcata con le renne, finalmente alla scoperta dei laghi circostanti (questa zona è ricchissima di laghi!). Sebbene il clima sia davvero rigido, il panorama è spettacolare. La neve contribuisce a rendere il tutto ancora più magico. Oggi ciascuno può condurre in autonomia la propria renna: è bellissimo! Dopo solo un’ora, ci fermiamo nelle vicinanze di una tenda. Qui vive un uomo con il suo cavallo, è un amico di Narengò: ecco un’ ottima occasione per sorseggiare un thè in compagnia! L’uomo riesce a mettere insieme poche parole in inglese, sufficienti per spiegarci che vive sui monti allevando le renne, mentre sua moglie sta ad Harmai per badare agli yak. Questa è la vita che conducono molte famiglie.

Proseguiamo la passeggiata, anche se purtroppo ha ricominciato a nevicare. La sera decidiamo di anticipare a domani il nostro rientro ad Harmai. Il fattore meteo ci preoccupa non poco, benché i nomadi non siano in grado di comprenderlo. Proprio oggi, una delle sorelle di Narengò, insieme al marito e ai due figli (di 6 anni e 5 mesi!), accompagnati da una ventina di renne, si è messa in marcia per scendere a valle, partendo alle 18, senza preoccuparsi in alcun modo dell’arrivo imminente del buio!!! A tal proposito, scopriamo che anche gli “uomini-renna”, seppur per un breve periodo, abbandonano le alte cime per sostare ad Harmai, in attesa della fine del grande freddo.

04 ottobre 2016

Avete mai cavalcato per 10 ore una renna? Noi pensiamo di non essere stati così a lungo nemmeno in sella alla nostra bicicletta…Oggi, con la discesa ad Harmai, arriveremo ad un totale di ben 23 ore in meno di una settimana! E pensare che, prima dello scorso giovedì, non ne avevamo mai vista una. Sono così docili e morbide; di tanto in tanto è piacevole sfilare i guanti e nascondere le mani nel caldo pelo che avvolge il loro collo. Il rientro è piuttosto traumatico e complicato; il tempo sembra dalla nostra parte, ma ci illude riscaldando lievemente solo la prima ora di marcia. Una nevicata, che in alcuni momenti diventa quasi bufera, cancella ogni speranza di affrontare un tranquillo rientro. Preghiamo che le renne non scivolino, perché sarebbe davvero impossibile proseguire con i vestiti bagnati. Le brevi soste presso alcuni raccoglitori di pinoli nel bosco e altri due uomini, accampati vicino ad un pianoro paludoso, sono gli unici momenti concessi per un po’ di riposo…e soprattutto per scaldare i piedi, la parte del corpo che più sta soffrendo. Oltre ai numerosi strati di vestiti ed il piumino, Narengò ci ha offerto i tipici cappotti mongoli, gli “hurem”, lunghi quasi fino ai piedi e davvero molto imbottiti. Per le calzature invece non è stato possibile reperire nulla della nostra misura. L’ultimo tratto di strada è il più duro, poiché l’aria gelida paralizza le nostre articolazioni. Nel primo buio dopo il tramonto, un gruppo di cavalli al pascolo ci osserva quasi con stupore; sembra la scena di un film.

Arriviamo ad Harmai, alla casetta di Narengò, distrutti; sono quasi le 20 e per fortuna ci attendono Podre, Touchè e una delle figlie, ma soprattutto una stufa accesa e dei buonissimi ravioli preparati in casa.

05 ottobre 2016

Anche a bassa quota il tempo non è stato dei migliori. Minjin ci chiama per avvertire che dovremo attendere fino al 7 l’arrivo dell’autista incaricato di accompagnarci al lago Khövsgöl .

Tuttavia, il fatto di essere gli unici due turisti in questo tour ci offre la grande possibilità di conoscere meglio le dinamiche quotidiane della nostra famiglia mongola. Alle 14 partiamo per la città di Tsagaanuur per  riaccompagnare in collegio la figlia di Narengò, assentatasi da scuola per un giorno per badare al fratello minore. L’edificio del dormitorio è piuttosto bruttino, con i corridoi bui e polverosi; le inservienti impartiscono ordini che non comprendiamo, ma il loro tono non promette nulla di buono e conferisce un’atmosfera ancor più triste a questo posto. Si aprono porte che nascondono stanze minuscole, al cui interno sono ammassati bambini di età piuttosto diverse. Ci guardano incuriositi e divertiti. I letti a castello hanno materassi spessi pochi centimetri e le pareti sono coperte da tappeti colorati. Conosciamo anche le altre due figlie di Narengò e Podre, una di 8 e l’altra di 16 anni; i bambini dimostrano età inferiori rispetto a quelle anagrafiche, a differenza di tutte le persone adulte conosciute, che invece sembrano più vecchie. La pelle è segnata dal sole, dal freddo e dalle fatiche del lavoro. I mongoli stessi ci dicono che la loro vita è praticamente finita intorno ai 60 anni. Narengò e Podre consegnano dei soldi alle figlie, probabilmente per pagare la rata del dormitorio. Le ragazze avvicinano i soldi alla fronte, compiendo il tipico gesto che si usa per ringraziare. Un saluto e un bacio veloce: immaginiamo la stessa scena vissuta da una famiglia italiana. Tra due anni toccherà anche a Touchè e allora la coppia rimarrà da sola: per loro è la normalità, a noi pare impossibile pensare di vivere così.

06 ottobre 2016

Trascorriamo l’ultimo giorno ad Harmai dedicandoci alla pulizia della stalla degli yak e aiutando Podre a mescolare il latte appena munto, che necessita di bollire prima di poter essere consumato. Come sempre, da quando siamo qui, un gran numero di persone entra ed esce dall’abitazione per fare visita o per portare qualcosa; a chiunque varchi la soglia è offerta una tazza di thè, talvolta accompagnato da pane, marmellata o formaggio. Questa è un’abitudine apprezzabile dei mongoli, che si dimostrano davvero accoglienti e capaci di aiutarsi l’un l’altro.

Un uomo fra tutti è particolarmente interessato a noi; vuole conoscere i nostri nomi, la nostra età, se siamo sposati e se abbiamo dei figli. Quando rispondiamo di no a quest’ultima domanda, dice che dobbiamo rimediare subito: i figli si fanno in tenera età! Cerchiamo di sviare la questione (che ci è stata più volte presentata nel corso dei giorni…), distraendolo con le nostre foto: ne è entusiasta. Prima di partire per le alte vette, ci offre l’opportunità di fare una breve passeggiata con un paio dei suoi cavalli che pascolano qui intorno.

07-08 ottobre 2016

Proseguiamo alla volta di Janhai, sulle rive del lago Khövsgöl, dove pernottiamo in una tipica ger mongola; il mattino seguente, scattiamo alcune foto al panorama circostante e infine rientriamo a Mörön. Una notte in hotel e una doccia calda sono quello che ci serve prima di affrontare l’ultimo viaggio in pullman per Ulaanbaatar.

 

COS’ABBIAMO IMPARATO SUI MONGOLI E SUL LORO PAESE?

QUELLO CHE CREDIAMO DI SAPERE…

-I mongoli difficilmente si arrabbiano, preoccupano o perdono il controllo; sono tendenzialmente molto molto tranquilli… anche qualora ci si trovi in mezzo alla taiga, durante una bufera di neve (!).

-Pare che non abbiano mai freddo e non usano guanti.

-Per loro è sempre il momento di mangiare: più mangi, più ti scaldi!

-Ogni scusa è buona per bere un thè in compagnia; non preoccuparti, c’è il tempo per fare tutto, ma soprattutto per fermarsi a bere un thè.

-Girovagando per la Mongolia, s’incontrano più animali che persone.

-I mongoli alzano il dito mignolo per indicare qualcosa che non va bene.

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