A volte puoi vedere il bene anche nel male

Bangkok è stata la nostra “tappa riposo” dopo il mese all’insegna dell’avventura con il minivan. Qui, tra una lavatrice e un giro in centro, abbiamo preso decisioni importanti, applicando il VISA per il Vietnam, un Paese che a dir la verità non avevamo preso in considerazione all’inizio del viaggio.

Bangkok è una grande città, è vero, ma è anche un posto che amiamo. Stefano dice che per lui è un po’ come “una seconda casa” e considerato che questo era il suo quinto ritorno, beh… io gli credo.
Sarà per quel contrasto tra i grandi ed altissimi palazzi e i piccoli banchetti di cibo lungo strada, tra l’imprenditore che beve caffè da Starbucks e la famiglia che mangia la zuppa sul marciapiede, a 30 centesimi (speriamo che la campagna di “abbellimento delle strade”, lanciata dall’amministrazione negli ultimi mesi, non abbia seguito…altrimenti i banchetti di strada spariranno!!). Sarà che poi ti puoi far tirare un po’ dalle sapienti mani di quelle piccole quanto forti massaggiatrici thai. Sarà che qui ritroviamo il nostro amico Mattia, con cui facciamo sempre grandi mangiate. C’è casino ma, almeno per noi, è un “casino vivibile”.

Bangkok ci fa anche un po’ arrabbiare a volte… Come quando abbiamo letto che i proprietari di “Turtle House”, dove visse lo scrittore e giornalista Tiziano Terzani, stavano per acconsentire all’abbattimento: una meraviglia di legno eliminata in favore della causa del cemento. Noi abbiamo deciso di andarci di persona, per ammirarla dal vivo e raccontare la vicenda (vedi post precedente): come se il solo fatto di visitarla potesse servire a qualcosa.

Ma forse Bangkok ci offrirà un altro motivo per tornare con il sorriso sulle labbra, perché un’associazione italiana pare ora interessata all’acquisto e alla salvaguardia della casa! Notizia delle ultime settimane…Speriamo!!

Dopo 10 giorni nella capitale, avendo scelto di raggiungere via terra il Vietnam, ci siamo mossi verso il nord della Thailandia, a Chiang Mai, e la tranquillità del posto ci ha subito convinto a prendere qualche giorno di stop in più. Viaggiando da parecchio tempo, abbiamo iniziato ad accusare il colpo del nostro essere perennemente, o quasi, sulla strada ed in noi è ritornata la voglia di sperimentare qualcosa di nuovo. La stessa voglia che in India ci aveva “spinti a rallentare”… convincendoci a sostare per un po’ negli ashram di Gokarna e Amritapuri.

Perché non provare con “Workaway”?

Workaway è una piattaforma online che mette in contatto persone di tutto il mondo: su un fronte si trovano gli “hosts”, coloro che richiedono un aiuto o, in altri termini, offrono qualunque genere di lavoro, in base alle esigenze personali. Sull’altro, quelli che sono disposti ad accettare di dare quella mano in più per 5/6 ore al giorno, a volte anche meno.
I primi guadagnano un supporto nelle loro attività, i secondi usufruiscono di vitto e/o alloggio gratuito e hanno la mezza giornata libera da spendere nel luogo e nei dintorni.
Entrambe le parti traggono profitto dall’incontro e dalla conoscenza reciproca. Tanto più che chi utilizza Workaway, spesso, lo fa in terra straniera, per visitare posti nuovi risparmiando e contemporaneamente avere un contatto genuino con la gente locale.
Al termine dell’esperienza, si possono lasciare recensioni, cosicché sia garantita una certa sicurezza, sia per chi ospita, sia per chi è ospitato.
Insomma, eccezion fatta per rari casi di sfiga (……..), si va a colpo sicuro!

Dopo l’iscrizione al sito e il pagamento della quota richiesta, abbiamo trovato piuttosto velocemente ciò che pareva facesse al caso nostro: un uomo che chiedeva aiuto in attività di giardinaggio e pulizia nel suo centro yoga, in cambio di lezioni gratuite, anche di massaggio thailandese, e pernottamento.
Siccome erano inclusi gli insegnamenti in due ambiti di nostro interesse, non ci siamo posti alcun problema per l’esiguo contributo richiesto per i pasti e abbiamo contattato l’uomo.

La Yoga House di San Pa Tong è immersa nella campagna, a 20km circa dal centro di Chiang Mai. La posizione è ottima e la natura circostante la rende una vera e propria oasi di pace.
MA, questo il nome del proprietario, si è presentato in modo gentile e pacato, un perfetto padrone di casa sulla quarantina, fisico da atleta e tatuaggi in bella vista.
In lingua italiana “ma” indica una congiunzione avversativa che lega due proposizioni in contrapposizione; può anche essere utilizzata come sostantivo maschile con significato d’ incertezza, perplessità, difficoltà. Esempio: “Con tutti i tuoi ma, non combinerai mai niente”. Dovevamo forse farci qualche domanda in più dall’inizio??
Scherzi a parte, il primo impatto era stato positivo; avevamo la nostra casetta, piuttosto spartana ma carina, uno spazio comune con amache e lettini di bambù e la piacevole compagnia di altri 3 ragazzi, arrivati a San Pa Tong seguendo la nostra stessa via, utilizzando il sito di Workaway. Il lavoro era concentrato in un paio d’ore la mattina, poiché in seguito il caldo raggiungeva livelli esagerati. Si trattava per lo più di ripulire le rive adiacenti alla proprietà da rami e tronchi abbattuti in precedenza. Il cibo era vegetariano, fresco, gustoso e in parte proveniente dall’orto dell’uomo. Nel pomeriggio avevamo tutto il tempo libero del mondo, per un bagno nel vicino canyon, per letture personali, scrittura o riposo.
Fin qui nulla di strano.
Così sembrerebbe, se non fosse che Workaway, come detto sopra, non implica esclusivamente lo scambio materiale (lavoro VS alloggio), ma è soprattutto occasione di condivisione e confronto.

MA non ha mai voluto condividere il momento dei pasti con noi ragazzi, perennemente relegati nella zona della cucina comune, situata a debita distanza dal suo alloggio. Riguardo gli insegnamenti promessi, non ha fatto altro che ripetere che lo yoga potevamo farlo in autonomia, seguendo qualche video on line. Nessun riferimento ad eventuali nozioni di massaggio da lui possedute.
E poi gli eventi sono via via degenerati.

Alla Yoga House, oltre ai ragazzi, avevamo conosciuto Brian, un americano di 50 anni che si era presentato come volontario part time: la sua intenzione era quella di trascorrere mezza giornata con noi per dare una mano, ma pernottare in città. Nonostante la grande differenza d’età, Brian aveva conquistato il gruppo con la sua simpatia… E, a dire il vero, anche con qualche merenda che era solito acquistare per noi.

Un giorno, avendo colto l’interesse di Brian in merito alla cucina italiana, avevamo deciso di organizzare un semplice pranzo a base di pasta fatta a mano: volevamo spiegare a tutti come preparare dei veri gnocchi al pomodoro! L’iniziativa, che a noi pareva piuttosto divertente, è stata il prologo della catastrofe: MA non ha in alcun modo preso in considerazione la possibilità che ciò avvenisse, manifestando totale disappunto a riguardo e un inspiegabile attacco d’ira, rivolto in particolar modo  all’americano, invitato a non presentarsi più presso la Yoga House.
Era un diritto di MA esprimere parere contrario, non lo neghiamo, ma perché scegliere una tale modalità di comunicazione?
Pranzo made in Italy saltato, ma soprattutto prime vere preoccupazioni da parte nostra.

L’episodio che ci ha convinto a terminare in anticipo l’esperienza Workaway si è verificato nel fine settimana, quando ci siamo recati in città, a Chiang Mai, per attività di volantinaggio e la visita al Night Market. MA, non solo non è stato con noi ragazzi… si è presentato all’appuntamento stabilito, prima del rientro, ubriaco ed euforico, con ulteriori bottiglie di alcool da stappare una volta ritornati alla Yoga House. Siamo ripartiti alla volta di San Pa Tong, ovviamente spaventati, e pregandolo più volte di limitare la velocità del suo enorme Suv.
Niente da fare, in risposta alle nostre richieste, siamo stati derisi ed umiliati. L’uomo diceva che noi non avevamo rispetto per lui e per la sua macchina, fatta appositamente per l’alta velocità. Rientrati sani e salvi, abbiamo deciso di abbandonare la Yoga House nella notte, prima che MA potesse ulteriormente aumentare il suo tasso alcolico. E così abbiamo fatto, verso le 22 ci siamo messi in marcia.
Dopo soli 20 minuti, una mietitrebbia, scortata da due pick-up, si è fermata in nostro soccorso. Una famiglia thailandese ci ha fatto accomodare nel cassone posteriore di una delle due auto per condurci al sicuro, nuovamente a Chiang Mai. Avanti e indietro tra la città e la campagna, nessun problema. Volevamo solo che tutto ciò finisse. Il viaggio di 30 km sotto il cielo stellato è stato uno dei momenti migliori della settimana.

In seguito, abbiamo segnalato la situazione al sito di Workaway, per evitare che altri possano approdare qui in futuro, alla ricerca di un’ esperienza che assolutamente non è quella descritta dall’uomo sul suo profilo. Una sola lezione di yoga in 7giorni, nessun momento di condivisione in merito alle nostre differenti culture, nessuna introduzione al massaggio thailandese. E inoltre imprevedibilità, sbalzi d’umore e difficoltà di comunicazione.

Quindi? Rimane solo l’amaro in bocca?

Questa volta un pochino sì… Ma occorre osservare con occhi attenti. Dietro la nostra brutta esperienza, restano altri ricordi piacevoli. Primo fra tutti, l’incontro con gli altri “workawayers”, due tedeschi e una norvegese, giovani quanto in realtà già maturi, sia per le esperienze di vita precedenti, sia per quelle di viaggio in corso.

Tutti in giro per il mondo in solitaria, unico obiettivo quello di conoscere e scoprire nuovi Paesi, culture e anche se stessi: Katrina, ex soldatessa al confine russo-norvegese, Judith, 26enne esperta della meditazione Vipassana, e Felix, che i suoi 21 anni non li dimostra affatto, dato che vive in Uganda ed insegna in una scuola per bambini disabili. Roba da far drizzare i peli se poi pensi a quel che facevi tu a 21 anni…
Poi c’è stata la famiglia thailandese, che non ha esitato mezzo secondo per offrire aiuto: presi, caricati e “salvati”, non potevamo chiedere di più quella notte. E la conoscenza di Brian, cui finalmente siamo riusciti per davvero a preparare gli gnocchi! A Chiang Mai, a casa di un altro americano.
Poteva andare meglio, sì, ma poteva andare anche peggio. Noi siamo felici di poter dire che, almeno in parte, è andata per il verso giusto.

Il passo successivo? Noi volevamo davvero imparare qualche nozione di massaggio thai e questa volta la fortuna non è mancata: sono bastate poche chiacchiere con una ragazza conosciuta a Chiang Mai, per scovare la “Khunchamnan Family Massage”, ancora una volta in campagna, ma in direzione opposta, nel distretto di San Kamphaeng.

Max e la moglie Namphetch hanno venduto l’attività commerciale e da un paio di anni si sono rifugiati a ridosso della giungla, in un terreno che confina solamente con le piantagioni di banani e manghi dei genitori di Namphetch. Il padre di lei, quasi ogni giorno, attende il buio per uscire a caccia di rospi ed insetti, che poi rivende al mercato del paese.
Due piccole casette, lo spazio essenziale per vivere, una piscina riempita con l’acqua pompata direttamente dal terreno, e l’unica preoccupazione di insegnare l’arte del massaggio ad un numero massimo di 4 studenti alla volta. La sera i grilli avvertono che è il momento di andare a dormire, la mattina il sole delle 5.30 dice che è ora di alzarsi. “C’è poco da fare”, afferma Max. “Molti vengono e poi scappano perché dicono che è un posto noioso”. A noi è parso il paradiso.
Tre ore di lezione al mattino, tre al pomeriggio, specialità della cucina thai, una biciclettata fino al tempio del paese, un caffè nel piccolo bar dove l’ insegna recita “Coffee and Cappuccino”, ma se provi a ordinare in inglese ti guardano come fossi pazzo. E poi il tempo.
Tempo per apprendere meglio, per recuperare da quella fuga nella notte da San Pa Tong, che forse ha lasciato qualche strascico d’ansia. Tempo per pensare e per fare mente locale: un altro mese é passato, il Vietnam ci aspetta.
E poi il volo di ritorno? Lo compriamo? Proviamo a decidere un itinerario di qui alla fine?
Forse è ancora presto, ma intanto dobbiamo tenerlo a mente. Il tempo scorre e non così Lentamente come speravamo.

Insomma, a differenza di quanto era successo alla Yoga House, presso la “Khunchamnan Family Massage” abbiamo goduto appieno dell’esperienza e della bellezza della natura thailandese.

L’ingresso in Laos ha riservato la scoperta dell’inesistenza del visto di transito gratuito in cui riponevamo fiducia. Pensavamo di non pagare nulla e invece alla frontiera abbiamo sborsato 35 dollari a testa, indipendentemente dal tempo di permanenza in terra laotiana. Così, sulla via del Vietnam, per non “buttare via” i soldi del visto, abbiamo fatto tappa a Vang Vieng, la folle città dei party, evitata alcuni anni fa, nel timore che fosse solamente un posto per i maniaci della festa e nulla più. A Vang Vieng impazza la moda del “tubing”, la lenta discesa lungo fiume con ciambellone gigante e l’unica preoccupazione di bere quanto più alcool possibile. Le famose “lagune blu” della zona sono carine, ma per lo più pozze a pagamento dove più che un angolo di natura, è possibile assaporare l’invasione eccessiva dei turisti.

Perché allora non concedersi semplicemente un giro in motorino o in bicicletta, per esplorare i dintorni e ammirare la meraviglia del paesaggio carsico, il lento scorrere del Song e magari scattare foto nei villaggi più lontani dal centro? Forse ci siamo persi qualcosa evitando l’arrampicata ed il kayaking, ma nonostante la tentazione, il desiderio di stare lontano dalla folla ha avuto la meglio. Ce la siamo vissuta così Vang Vieng, tranquillamente, ed è andata bene.

Dal Laos è iniziata l’odissea di 36 ore verso la capitale del Vietnam. Un viaggio su un pullman notturno con sedile reclinabile monoposto, stile Formula 1. In compagnia di una decina di locali, un mix di thailandesi e vietnamiti, e altri cinque stranieri abbiamo varcato la frontiera di Nam Phao.

Arrivati ad Hanoi, abbiamo scelto un ostello situato nella parte vecchia della città, spinti dalla curiosità di scoprire quell’intricato groviglio di stradine, colme e stracolme di persone, banchetti e motorini.
Abbiamo sorriso scoprendo le prime insegne giganti; luminose e non, ma sempre e comunque dai caratteri esageratamente grandi. Come a dire: “Ti voglio far capire bene cosa vendo'”. E poi i marciapiedi, disseminati di piccole sedie, tavolini e carretti che sono cucine ambulanti, per mangiare a qualunque ora del giorno e della notte. Se poi non c’è posto non importa, ci si siede tranquillamente per terra. Non è un problema, l’importante è che nella zuppa ci sia davvero il pollo e non uno di quei cani arrosto che non è nemmeno tanto difficile scovare.


Affascinanti il mausoleo di Ho Chi Minh e il Tempio della Letteratura, ma imperdibili, almeno per noi, un giro nei dintorni del “Lago della Spada Restituita”, per vedere gli arzilli nonnini che si dilettano con il Tai Chi, e il caffè caldo con crema all’uovo del Café Pho Co. L’ingresso ricorda la Provenza francese e la bevanda con vista aggiunge un tocco memorabile al luogo.

Questo Vietnam CI PIACE (salvo per i cani arrosto, ovvio)! Vedremo cosa riserverà da qui in poi!!

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